Inconscio affettivo e inconscio cognitivo

Il pensiero del soggetto è diretto da stutture di cui ignora l’esistenza e che pure determinano non solo ciò che è capace o incapace di “fare”, ma anche ciò che egli è “obbligato” a fare.

  Tra la psicoanalisi e la cosiddetta psicologia accademica un tempo non correva buon sangue.  Si ignoravano reciprocamente.   Furono per primi i rappresentanti della psicologia scientifica, che hanno il vantaggio di non essere vincolati da alcuna scuola, a comprendere l’importanza di alcune ascquisizioni di fondo della psicoanalisi freudiana e a farle proprie integrandole nelle loro teorie generali sul comportamento.

L’articolo (che seguirà in sintesi) è il testo di una conferenza tenuta il 28 Dicembre 1970 al Congresso della “American Psychoanalystical Association”  Esso è apparso sul Jurnal dell’associazione stessa e su Raison présente. La difficoltà incontrate per reperirlo nelle biblioteche italiane e l’interesse del suo contenuto mi sono sembrate ragioni sufficenti per richiederlo direttamente alla rivista francese e renderlo accessibile in traduzione italiana [N.d.T]

 

1. Il problema delle strutture

   L’affettività è caratterizzata da composizioni energetiche, cioè da cariche psichiche capaci di investire un qualche oggetto secondo valenze positive o negative. Ciò che invece caratterizza l’aspetto cognitivo delle condotte è la loro struttura sia che si tratti di schemi elementari di azione, di operazioni concrete riguardanti la classificazione, la seriazione, ecc., o di logica delle proposizioni con le loro diverse “foncteurs” (implicazioni ecc.). Nel caso dei processi affettivi e quindi energetici, il risultao a cui conducono è solo parzialmente cosciente, si traduce cioè in sentimenti più o meno chiaramente avvertiti del soggetto come reali, affettivi, attuali. E tuttavvia il meccanismo profondo di questi processi resta inconscio nel senso che il soggetto non conosce né le ragioni dei suoi sentimenti, né la loro origine ( e quindi i loro rapporti col passato dell’individuo), né il perché della loro più o meno forte intensità, né le loro eventuali ambivalenze, e così via. E’ proprio per questo meccanismo profondo e nascosto delle composizioni energetiche che la psicoanalisi cerca di cogliere, e non stà a me ricordarvi quanto l’inconscio affettivo risulti complesso per la ricchezza dei suoi contenuti e per la complessità delle sue dinamiche interconnessioni.

Per quanto riguarda le strutture cognitive la situazione è pressoché la stessa: coscienza relativa o parziale ( ma anch’essa estremamente povera) del risultato, e incoscienza quasi totale ( o inizialmente totale) dei meccanismi profondi che tali risultati determinano. I risultati sono cioè più o meno coscienti, nel senso che il soggetto sa più o meno ciò che pensa di un dato oggetto o di un dato problema e conosce più o meno bene le proprie opinioni e le proprie credenze specie se deve formularle verbalmente per comunicarle agli altri o per opporsi a giudizi che contrastano con i suoi; ma questo   “conoscere”  riguarda solo i risultati del funzionamento dell’intelligenza e non il funzionamento in se stesso che gli resta del tutto sconosciuto in quanto avviene a livelli di gran lunga superiori a quelli in cui è possibile operare una riflessione sul problema delle strutture. Il pensiero del soggetto è insomma diretto da strutture di cui ignora l’esistenza e che pure determinano non solo ciò che è capace o incapace di “fare” ( da cui l’ampiezza e i limiti del suo potere di risolvere dei problemi), ma anche ciò che egli è “obbligato” a fare ( da cui gli inevitabili collegamenti logici che s’impongono al suo pensiero). In breve, la struttura cognitiva è un sistema di connessioni che l’individuo può e deve utilizzare ma che non si riduce o limita al contenuto del suo pensiero cosciente poiché a questo s’impongono certe forme piuttosto che altre, e ciò avviene secondo un succedersi di livelli di sviluppo la cui origine inconscia si può far risalire alle primitive coordinazioni nervose ed organiche. L’inconscio cognitivo consiste allora in un insieme di strutture e di funzionamenti ignorati dal soggetto eccezion fatta per i risultati. Quando Binet enunciò questa verità sotto l’apparente forma di una battuta e cioè dicendo che “Il pensiero è un’attivitàinconscia della mente”, aveva dunque i suoi buoni motivi per definirlo così. Egli voleva infatti dire che se l’io è cosciente del contenuto del suo pensiero, non sa però nulla delle ragioni strutturali e funzionali che lo costringono a pensare in questa o in quella maniera o, per dirla in altri termini, del meccanismo profondo che orienta e dirige il pensiero stesso.  

Quanto vado esponendo non è una caratteristica esclusiva o tipica del pensiero infantile e si ritrova non solo nell’adulto ma nel corso di tutto lo sviluppo del pensiero scientifico. E infatti imatematici hanno ragionato da sempre obbedendo senza saperlo alle leggi di certe strutture di cui la più evidente è la struttura di un “gruppo” facilmente rintracciabile, ad esempio, negli elementi di Euclide. Di questa struttura, oggi riconosciuta da tutti come fondamentale, quei matematici non sapevano assolutamente nulla, ed è solo agli inizi del XIX secolo che Galois “prese coscienza” della sua esistenza. Allo stesso modo Aristotele, creando la logica con uno sforzo di riflessione sul suo modo di ragionare e su quello dei suoi contemporanei, “prese coscienza” di alcune fra le più semplici strutture della logica delle classi e del sillogismo. Ma- e questo è particolarmente significativo- egli non prese coscienza in quella stessa occasione di tutto un insieme di strutture che lui stesso utilizzava e che sono quelle della “logica delle relazioni”: anche questa “presa di coscienza” si è infatti realizzata nel XIX secolo con i lavori di Morgan e di altri.

Ora, se ciò si è verificato a livello del pensiero scientifico che ha fra i suoi obiettivi lo studio delle strutture, va da sé che una mancata presa di coscienza si ritroverà sotto forme ancor più sistematizzatein tutte le altre forme di pensiero, e cioè in quella “naturale” dell’adulto normale ma non specializzato in scienze e, a fortiori, in quella spontanea e sempre creativa del bambino ai diversi livelli del suo sviluppo.

Limitiamoci ad un solo esempio che riguarda il bambino: quello delle strutture di transività. Se si presentano a soggetti fra i 5 e i 6 anni due bastoncini A e B tali che A sia minore di B; poi un bastoncino B più corto di C ( B minore di C) mentre si nasconde A, questi soggetti non arrivano a dedurre la relazione A minore di C per la semplice ragione che non vedono contemporaneamente A e C. Fra i 6 e i 7 anni viene invece a costruirsi la struttura di transitività applicata poi con successo a un gran numero di problemi, siano essi di natura causale, matematica o ligica. Ma il soggetto non sa di aver costruito tale struttura e crede di aver ragionato sempre allo stesso modo; meno ancora sa riguardo a ciò che sottende la struttura stessa ( “raggruppamenti” di relazioni) né conosce come o perché essa è diventata per lui necessaria: insomma, egli ha coscienza dei risultati che ottiene ma non dei meccanismi profondi che hanno trasformato il suo pensiero, il che equivale a dire che le strutture in quanto tali restano inconscie. E’ appunto all’insieme di questi meccanismi in quanto strutture e in quanto funzionamento che diamo il nome di inconscio cognitivo.

Inconscio affettivo e inconscio cognitivoultima modifica: 2010-06-07T17:47:57+02:00da allan11
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