Kant e la morale autonoma

Molti laicisti si richiamano a Kant, in particolare al celebre scritto del
1784 sull’illuminismo.  Questo arruolamento di Kant tra le file dei nemici
della religione è un grosso errore, un errore che si ritrova tale e quale
anche presso buona parte del pensiero cattolico che, senza esercitare  a sua
volta la distinzione, si schiera pregiudizialmente contro l’illuminismo.
Kant scrive di aver “posto particolarmente nella materia religiosa il punto
culminante dell’illuminismo” perchè “la minorità in materia religiosa è fra
tutte le forme di minorità la più dannosa e anche la più umiliante”.
Sia i clericali sia gli anticlericali traducono il passo kantiano con
l’equazione: compimento dell’illuminismo=assenza di religione.  Ma non è
assolutamente così, basta conoscere anche solo un po’ le grandi opere
kantiane per rendersene conto,  In realtà per Kant la religione tocca tali
profondità dell’essere umano che, se è sbagliata, diviene la catena più
pesante.
Ma se è giusta ?
Scrive il filosofo verso la fine della “Critica della ragion pura”:
“Io credo inevitabilmente nell’esistenza di Dio e in una vita futura, e sarò
sicuro che nulla può far vacillare questa fede, poichè altrimenti
risulterebbero rovesciati i miei stessi principi morali”.  Se è giusta, la
religione fonda in modo inestirpabile i retti principi morali,  li radica
nel profondo dell’animo umano con una forza tale da risultare inconcepibile
alla semplice raison calcolatrice.
Quando l’uomo percepisce dentro di sé l’assolutezza dell’etica, sente di
essersi legato a una sfera incondizionata dell’essere per esprimere la quale
il suo pensiero non ha trovato di meglio che ricorrere al termine Dio.
L’uomo non deve fare il bene per obbedire a Dio (morale eteromana), deve
farlo per sé stesso (morale autonoma).
Ma quando fa il bene per se stesso, con l’assolutezza imperativa che esso
richiede, l’uomo entra al cospetto di una sfera superiore dell’essere,
chiamata da Kant “regno dei fini”, da Platone “regno delle idee”, da Gesù
“regno dei cieli” ( da Jung “archetipi”-“Sé”. ndr)

L’emancipazione auspicata da Kant, e da tutto il pensiero dell’illuminismo e
dell’idealismo tedesco, non è dalla religione e dal sacro, ma da forme
immature della religione e del sacro.

………………………..

Per Kant […] il valore di un’uomo è dato dall’uso che fa della sua
libertà.  Di conseguenza il valore di una filosofia dipende dalla misura
della libertà a cui conduce gli uomini.
[…]
Per questo egli lega la libertà soggettiva a qualcosa di più alto, e così
facendo fonda la morale sul sacro.  Non sul sacro religioso, ma sul sacro
razionale, il quale si impone col suo “imperativo” a ogni uomo che voglia
veramente esercitare la ragione.
La ragione non è una semplice facoltà del soggetto, usabile a piacimento
come una cravatta che posso indossare oppure no, come purtroppo ritiene la
cultura dominante
[…]
E’ fuorviante presentare Kant come paladino del soggettivismo moderno.
La ragione compie se stessa quando riconosce nella libertà che vi è un
principio superiore, un arché a cui si deve legare.  In assenza di questo
legame con l’arché, si ha l’an-archia con le sue devastazioni morali.

Vito Mancuso

Kant e la morale autonomaultima modifica: 2010-06-07T13:41:08+02:00da allan11
Reposta per primo quest’articolo