Un inconscio senza profondità

Questo breve post fa seguito ai due precedenti:
1°)”Volksgeist e Inconscio” dell’ 8 Aprile
2°)”L’Inconscio collettivo di Lacan” del 13 Aprile
dove si rilevano i “piedi d’argilla” del gigante “totalitario relativista”
come lo chiama Benedetto XVI°

Questa mia ricerca su che tipo di inconscio stà alla base del
relativismo mi porta ad una conclusione molto semplice.
L’inconscio che sta alla base del relativismo è un’inconscio che si sviluppa
solo orizzontalmente e non verticalmente.

Come dice Binswanger lo sviluppo eccessivo in senso orizzontale porta al
comunismo, quello troppo verticale all’arianesimo ed è solo nella
congiunzione dei due nel simbolo, guarda caso della croce, che si stabilisce
un’equilibrio.

Ma a parte queste considerazioni, a riprova di quanto dico cito questo
passaggio, del resto già citato nel post “Il cervello di Jung” dove si
faceva un parallelo tra Jung e Chomsky usufruendo di studi sui BAMBINI, vero
terreno di verifica scientifica seria

“Il linguista americano, come si sa, è il fondatore e il caposcuola del
“generativismo”. Questa forma linguistica intende spiegare le leggi che
governano il prodursi del linguaggio e si oppone alla linguistica
strutturalista che si limita a descrivere il suo funzionamento. La
“grammatica generativa” di Chomsky distingue una “struttura PROFONDA” dei
fatti linguistici da una “struttura SUPERFICIALE” in cui la prima si
trasforma nell’organizzazione sintattica del parlare concreto.
Successivamente questa distinzione cede il posto a quella tra “competenza”
ed “esecuzione” con cui Chomsky intende spiegare sia gli aspetti creativi
del linguaggio sia il suo carattere INNATO e la sua presenza nei primi stadi
dello sviluppo INFANTILE. “

http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/030623a.htm

Ora, che l’inconscio alla base del relativismo fosse un’inconscio un po’
superficialotto lo si era capito subito, infatti non corrispondeva
assolutamente con quello conosciuto nella pratica analitica ma buono solo
per gente di bocca buona come gl’ideologi di ogni specie.

L’analogia, viceversa, tra quello di Comsky e quello di Jung stà proprio in
quella PROFONDITA’ che, ovviamente, quando si tratta di BAMBINI i bluff non
hanno molto spazio.

PS…al fine di render più chiaro il tutto aggiungo anche questi altri due
post integrativi dell’argomento:

1°) Il cervello non è relativista
Pensiero e genetica, incontro tra Piattelli Palmarini e Noam Chomsky
«Esistono componenti biologiche innate nella mente e nel linguaggio»

Sono appena usciti, negli Stati Uniti, due eccellenti dvd destinati ai corsi
universitari, a cura del noto psicologo della Harvard University Howard
Gardner. Uno è intitolato La mente di Noam Chomsky, l’ altro Noam Chomsky:
linguaggio e pensiero (www.classroommedia.com). Osannato da alcuni come il
Galileo delle scienze cognitive e il Copernico della linguistica, detestato
da altri come un arido riduzionista delle squisite sottigliezze del
linguaggio e della mente, una recente ricerca statistica ha rivelato che
Chomsky, oggi ottantenne e sempre attivissimo, è l’ intellettuale vivente
più citato al mondo. Inoltre è stato il più noto e uno dei più inflessibili
avversari della guerra in Vietnam, militanza che gli ha anche procurato
brevi detenzioni nelle patrie galere. Le sue posizioni politiche di matrice
anarchica sono ben note e non mi ci soffermerò qui. La lista di autori, di
articoli e di libri anti chomskiani sarebbe molto lunga, ma bastino due
recenti esempi: nel 2006, la psicologa inglese Margaret Boden pretendeva di
smascherare «dieci miti su Chomsky». Dello stesso tenore, e con simili
fraintendimenti ed errori, è un articolo appena pubblicato su Libero
(martedì 1 aprile) a firma Lucio d’ Arcangelo, intitolato «Vacilla il mito
del linguista più scientifico del mondo». Chomsky ha pazientemente e molto
dettagliatamente, nel corso di decenni, ribattuto alle critiche e messo in
evidenza gli errori e i fraintendimenti. Prima di dargli la parola in un’
intervista in esclusiva sulle scienze cognitive, vorrei citare solo alcuni
dati di fatto. Da molti anni leggo i lavori di grammatica generativa (così
si chiama esattamente il filone di linguistica inaugurato da Chomsky intorno
alla metà degli Anni Cinquanta), ho a suo tempo seguito dieci interi corsi
semestrali di Chomsky al Mit e circa altri dieci di linguisti suoi colleghi
e collaboratori. Ciò nonostante, non ho problemi ad ammettere che molti
dettagli tecnici ancora mi sfuggono. Il messaggio, qui, è che si tratta di
una scienza immensamente complessa e profonda e che ogni ritocco a un’
ipotesi, a una teoria, riverbera con inevitabili ritocchi su molte altre
ipotesi e teorie e su dati già noti per varie lingue. Sbalordisco quando
vedo criticata con sicumera la grammatica generativa da chi, con ogni
evidenza, ne sa poco o niente. Un altro dato, diciamo, demografico: hanno
contribuito a questa scienza, nel corso di mezzo secolo, circa duemila
studiosi, in vari Paesi. Importanti ricadute della teoria e notevoli
conferme sono venute anche da altri campi come la genetica, le neuroscienze,
le simulazioni su calcolatori, le patologie del linguaggio, la psicologia
animale. Formidabile è stato il potere di attrattiva di questa scienza su
menti di straordinario calibro, su studiosi di matematica, fisica,
ingegneria, scienze di calcolo e biologia. Questa comunità ha offerto, offre
e continuerà a offrire una grande diversità di teorie, di ipotesi e di
indirizzi, non di rado in aspra polemica, anche con lo stesso Chomsky, come
è naturale che sia in una scienza viva e in incessante progresso. Vengo ora
alla mia intervista. Piattelli Palmarini – Se dovesse scegliere un’ idea, un
evento, un’ ipotesi o un campo di ricerca che ritiene essere il più
importante per la nascita delle scienze cognitive, quale sarebbe? Chomsky –
Penso che l’ evento centrale sia stato riconoscere come i fenomeni mentali
possano e debbano essere studiati come gli altri fenomeni naturali, non
attraverso metodi per manipolare il comportamento, né osservandoli
superficialmente, ma indagandone i meccanismi interni, quelli che sono alla
base dei comportamenti e spiegano i dati osservabili. Piattelli Palmarini –
Ritiene giustificata l’ espressione «rivoluzione cognitiva»? Chomsky – C’ è
stato un cambiamento importante di prospettiva a partire dagli Anni
Cinquanta. Sostanzialmente si è trattato di un recupero di intuizioni e
riflessioni che risalivano al XVII e al XVIII secolo, ma che furono spinte
in direzioni nuove. Non amo troppo il termine «rivoluzione», e ho sempre
ritenuto che, se proprio lo si vuole adottare, quello che è successo negli
Anni Cinquanta sia una seconda rivoluzione cognitiva. Piattelli Palmarini –
È d’ accordo con me che due componenti sono state centrali: l’ importanza e
la complessità dei processi detti bottom-up (cioè che procedono dal basso in
alto, dai dati dei sensi al pensiero) e la modularità della mente, cioè la
suddivisione della mente e del cervello in molte unità relativamente
autonome? Chomsky – Sì, ma mi chiedo se non siano conseguenze dell’ aver
adottato con successo un approccio biologico alla cognizione. Speculando un
po’ , ho il sospetto che tra un secolo, guardando indietro verso il
presente, si concluderà che la componente veramente centrale è stata la
scoperta di un livello profondo. I processi mentali superiori mostrano, a
questo livello, una fondamentale semplicità, forse il risultato di un’
evoluzione biologica relativamente improvvisa e recente. Piattelli
Palmarini – Il titolo del mio libro usa l’ aggettivo «classiche» per
distinguere le scienze cognitive dal ritorno odierno di tendenze del
passato, cioè modelli che vogliono ritornare a un’ analisi generica,
superficiale, statistica. Che ne pensa? Chomsky – È certo che c’ è, oggi,
una pressione possente verso un ritorno allo studio dei fenomeni mentali in
superficie, enfatizzando le differenze culturali, le stranezze, le frequenze
statistiche. Perfino la fisica, fino a circa un secolo fa, era soprattutto
basata su misure di fenomeni osservabili. Uno scienziato del calibro di
Henri Poincaré riteneva che avessimo adottato l’ ipotesi della natura
molecolare dei gas solo perché ci sono familiari i rimpalli delle biglie,
delle bocce e delle palle da biliardo. I principi della chimica erano
ritenuti dai massimi studiosi essere solo utili semplificazioni di calcolo,
senza una vera realtà fisica. C’ è, quindi, una certa somiglianza con l’
assurdo dogma che i processi mentali, se reali, debbano essere accessibili
alla nostra coscienza ((Chomsky ha polemizzato su questo per anni con il
famoso filosofo americano John Searle, nda). Cercare, per i processi mentali
superiori, teorie che siano genuinamente esplicative e non solo
superficialmente descrittive rappresenta, con ogni evidenza, uno sforzo
psicologico. Ci è difficile ammettere che ciò che sentiamo e pensiamo è il
prodotto di meccanismi invisibili e di principi astratti, inaccessibili, se
ci limitiamo a semplici induzioni e a piatte generalizzazioni. Piattelli
Palmarini – Le critiche anti chomskiane di Margaret Boden e del giornalista
di Libero, tra gli altri, rivelano una forte resistenza ad ammettere che
esiste una grammatica universale e delle forti componenti biologiche nel
linguaggio e nel pensiero. Come mai le tendenze al relativismo e al
generalismo cognitivo sono così diffuse e possenti? Chomsky – Ho risposto
recentemente in dettaglio a Margaret Boden e nel corso degli anni a tanti
altri critici. Esiste, purtroppo, una forte tentazione a essere dualisti,
cioè a ritenere che il mondo dei fenomeni naturali e il mondo della mente
siano due settori distinti e separati. Anche coloro che non lo ammettono
fino in fondo, cioè anche quando non sono dualisti in senso metafisico, lo
sono in senso metodologico. Cioè non ammettono che gli stessi standard
razionali di indagine delle normali scienze e gli stessi metodi di ricerca
delle scienze possano essere applicati anche allo studio della mente.
Sarebbe interessante capire perché il dualismo sia ancora oggi tanto
diffuso. C’ è un’ assurdità nel rifiutare la grammatica universale, cioè nel
rifiutarsi di ammettere che esiste una componente genetica della facoltà di
linguaggio. Come ho cercato di mostrare in dettaglio per molti anni, se così
fosse davvero, cioè se non esistesse questa componente innata, l’
acquisizione del linguaggio nel bambino diventerebbe un miracolo.

2°) Il cervello secondo Jung

Sarei a chiedervi un favore, ma sinceramente, non per scherzo o
furbescamente perchè saprei già la risposta..
Ora io vi posto un vecchissimo articolo tratto da “Psicologia contemporanea”
degl’anni ’70.

Dopo averlo letto qualcuno mi saprebbe spiegare le differenze tra quello che
implicitamente dice Jung e quello che dicono invece Piattelli Palmarini e
Chomsskj ?

A me sembra, in altri termini, che Jung e Chomskj dicano la stessa cosa ma
mi sembra quantomeno strano che me ne accorga solo io.
Dov’è l’errore ?

 Arte Infantile e Astrattismo naturale

   E’ molto difficile far capire ad un’adulto che “arte” non significa
affatto “copia” della realtà. Picasso sosteneva appunto che gli adulti non
dovrebbero insegnare a disegnare ai fanciulli, ma dovrebbero imparare da
loro.  Gli adulti che insegnano ai bambini a disegnare in maniera realistica
non sono effettivamente di aiuto e possono anche provocare un danno. Lo
scopo del bambino non è di riprodurre ciò che vede intorno a sé;
probabilmente egli invece è un maestro esperto nell’arte autoappresa
(autodidatta) interessato soprattutto alla creazione di combinazioni
estetiche che sono spesso oggetto d’invidia per gli artisti adulti.
Lasciati a se stessi, senza l’intervento degli adulti, i fanciulli
sviluppano di solito una gamma di forme che li mette in grado di raggiungere
lo stadio culminante dell’arte autoappresa. Quindi se sono particolarmente
dotati, possono anche diventare grandi artisti, non contaminati dalla
mediocrità degli adulti di buon senso. Tuttavia, pochi fanciulli godono
effettivamente di questa opportunità, e la maggior parte abbandona le
attività artistiche dopo i primi anni di scuola.

  Rhoda Kellog è stata per oltre quarant’anni a contatto con bambini e li ha
osservati all’opera essendo la direttrice dell’Associazione Golden Gate per
i giardini d’infanzia di San Francisco e amministratrice del centro Phobe A.
Herst per l’istruzione prescolastica.

Il suo studio sull’arte infantile è nato, in primo luogo, dal desiderio di
capire i bambini molto piccoli, che prediligeva. Avendo letto numerose opere
di psicoanalisi, restò colpita da quelle di Carl Gustav Jung, dove, parlando
dei Mandala, affermava che questi disegni di un cerchio attraversato da
linee avevano un particolare significato umano e psicologico.  Quando notò
che i bambini di tre anni tracciavano spesso cerchi sbarrati,  il suo
interesse per l’arte infantile crebbe e con esso  il desiderio di conoscere
quali tipi di disegni precedessero e quali seguissero il cerchio.

Partì quindi dai primissimi scarabocchi dei bambini e comprese subito che
non erano disposti sul foglio “a caso” ma che invece seguivano “modelli di
collocazione”, cioè con una consapevolezza dei rapporti figura-sfondo. Ne
concluse che queste produzioni “non-pittoriche”, tipiche del secondo e terzo
anno di vita, erano essenziali alla comprensione sia di tutta l’arte
grafica, sia dell’arte infantile.

Da questi scarabocchi il bambino passa al secondo stadio. A partire dai tre
anni la maggior parte dei bambini è infatti in grado di disegnare queste
forme mediante una singola linea di contorno; esse prendono allora il nome
di diagrammi e lo stadio della forma può dirsi raggiunto.Esistono sei
diagrammi : cerchio (e ovali), quadrati (e rettangoli), triangolo, croci, X
e forme bizzarre.

  I primi disegni infantili raffiguranti soggetti umani appaiono molto buffi
agli adulti; la figura è tonda come una palla e le braccia spuntano dalla
testa. Le ragioni di questa mancanza di somiglianza è che il fanciullo non
sta rappresentando una persona così come la vede nella realtà, ma sta
modificando i mandala e i soli allo scopo di dare un nuovo aspetto unitario,
a lui più familiare.

  “Mandala” è un vocabolo sanscrito indicante un “cerchio magico”; tuttavia
questo termine comprende anche quadrati sbarrati e cerchi concentrici. Il
carattere distintivo di un mandala è il suo perfetto equilibrio, che è
appunto elemento dominante dell’arte autoappresa. I mandala sono
importantissimi nelle combinazioni e negli aggregati, e costituiscono un
punto di partenza per le raffigurazioni di soli, radiali e soggetti umani.
In essi, le braccia sono attaccate alla testa sulla sommità della quale sono
tracciati dei segni che servono a controbilanciare le gambe. Successivamente
il bambino omette le braccia dai suoi disegni, forse nel tentativo di
alleggerire la monotonia dell’equilibrio del mandala. Effettivamente, quasi
tutti i disegni di “uomini” realizzati da bambini al di sotto dei sei anni
rientrano esattamente in un’implicita struttura circolare (o ovale), senza
alcun riguardo alle mutilazioni anatomiche necessarie. Questo porta a
concludere che il fanciullo non si preoccupa affatto di disegnare figure che
assomiglino agli esseri umani; egli si sforza di raggiungere la maggior
varietà possibile entro una serie di formule estetiche.   I disegni di
figure umane sono seguiti da quelli di animali, che non sono altro se non
immagini di soggetti umani modificate. Ad esempio, quando gli orecchi sono
collocati in cima alla testa, ecco che l’uomo diventa ciò che gli adulti
chiamano animali.  Allo stesso modo gli “edifici” che i bambini disegnano
spontaneamente non sono tentativi di rappresentare delle case reali; questi
insiemi costituiscono invece variazioni estremamente interessanti dei
disegni formati da quadrati e rettangoli.  Lo stesso vale per i disegni di
barche, automobili, alberi,aerei e missili.

I lavori figurativi realizzati da fanciulli di numerosi paesi diversi
presentano notevoli somiglianze, poichè sono il risultato dei primi
scarabocchi e disegni. Dal momento che quest’arte originaria ha forme
espressive così uniformi, da un paese all’altro, da una cultura all’altra,
dal passato al presente, se ne deduce che le prime opere astratte del
bambino sono il prodotto di schemi innati di sviluppo neurologico e di
evoluzione umana.

  Concludiamo raccomandando che al bambino venga lasciato lo spazio e il
tempo (almeno mezz’ora al giorno) per disegnare ciò che preferisce poichè
questo favorisce enormemente lo sviluppo del grado più elevato di
intelligenza, cioè quello simbolico-astratto, e che quindi lasciando
sviluppare adeguatamente le proprie capacità artistiche, imparerà a leggere
bene e in breve tempo. Infatti disegnare sviluppa nel fanciullo la capacità
di creare Gestalten astratte (abilità visiva) estremamente necessarie
all’apprendimento della lettura e della scrittura. Inoltre lo scarabocchiare
e il disegnare sviluppano le sottili abilità muscolari necessarie per
tracciare segni precisi sul foglio, quindi l’imparare a scrivere sarà anche
lui facilitato.

Un inconscio senza profonditàultima modifica: 2010-06-07T02:38:39+02:00da allan11
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