Esperienza trascendentale

In questo capitolo intendo porre in relazione quell’esperienza trascendentale, che talvolta affiora attraverso la psicosi, con le esperienze del divino che costituiscono l’origine dell’esistenza di tutte le religioni.

Un’esperienza puo essere giudicata non valida in quanto folle o valida in quanto mistica; la distinzione non è facile.

L’esperienza psicotica va al di là degli orizzonti del nostro senso comune, ossia del nostro senso comunitario.

 A quali contrade l’esperienza conduce ? Essa implica la perdita di ciò che sta alla base di quel “significato” del mondo che noi abbiamo in comune; i vecchi propositi non ci sono più accessibili, i vecchi significati sono privi di senso; le distinzioni tra immaginazione, sogno, percezioni esterne, non si possono più usare nella stessa maniera. Gli eventi esterni  sembrano il risultato di un’evocazione magica, i sogni sembrano comunicazioni dirette di altri esseri, l’immaginazione può apparire come realtà obiettiva.   Ma le stesse fondamenta ontologiche sono quelle che risultano più radicalmente scosse : l’essere dei fenomeni slitta ed i fenomeni dell’essere non ci si presentano più come prima; non vi sono puntelli, nulla cui attaccarsi, salvo forse qualche relitto del naufragio, pochi ricordi, qualche nome, qualche suono, un oggetto o due che conservano un legame con un mondo scomparso. Questo spazio non è sempre vuoto : può popolarsi di visioni, di voci, di spettri, di forme e di apparizioni strane. Nessuno che non abbia sperimentato quanto possa essere inconsistente lo spettacolo offerto dalla realtà esterna e come esso possa dissolversi, può veramente conoscere le sublimi e grottesche presenze che possono prendere il suo posto o esistere parallelamente ad esso.   Quando un’individuo impazzisce, si verifica un profondo mutamento rispetto a tutti i reami dell’essere; il centro della sua esperienza si trasferisce dall’io al Sé; il tempo mondano si fa puramente episodico, e solo quello eterno conta. Tuttavia il pazzo è confuso; mescola l’io con il sé, l’interiore con l’esteriore, il naturale con il sovrannaturale. Nondimeno spesso può essere per noi, anche attraverso la più profonda miseria , il suo sfacelo, li ierofonte del sacro.

Eppure noi siamo scossi dalla nostra comoda sicurezza da questo folle fantasma che ci perseguita con le sue visioni e le sue voci, dalle quali ci sentiamo costretti ad allontanarlo, a mondarlo, a guarirlo.   Non è detto che la pazzia debba sempre costituire un regresso; può essere anche un progresso: potenzialmente è liberazione e rinnovamento altrettanto quano è schiavitù e morte esistenziale.   Oggi vi è un numero crescente di testimonianze di persone che sono passate attraverso l’esperienza della pazzia.

E’ mia opinione che certe esperienze trascendentali siano la sorgente originaria di tutte le religioni; alcuni psicotici hanno esperienze trascendentali: spesso, per quanto si possono ricordare, non hanno mai avuto prima simili esperienze, e altrettanto frequentemente non accade loro di averne ancora in futuro.

Questa esperienza ancorata all’identità, vincolata allo spazio tempo, è stata studiata in sede filosofica da Kant, e poi dai fenomenologi, per es. da Husserl e da Merleau-Ponty. La sua relatività storica ed ontologica è una cosa di cui qualsiasi studioso della situazione umana può pienamente rendersi conto; la sua relatività culturale, economico-sociale, presso gli antropologi è diventata un luogo comune e per i marxisti e neo-marxisti addirittura una banalità. Eppure a causa delle conferme e dei consensi che assicura tra i nostri simili, ci dà un senso di sicurezza ontologica la cui validità, secondo quanto sperimentiamo, si sostiene da sé, nonostante il fatto che noi sappiamo bene, attraverso la metafisica, la storia, l’ontologia, l’economia sociale e lo studio delle civiltà, come questo valore apparentemente assoluto, non sia che un’illusione.   Stà di fatto che tutte le religioni e tutte le filosofie dell’esistenza concordano nel dire che quest’esperienza egoica è un’illusione preliminare, una cortina, un velo di Maja; essa è un sogno per Eraclito e per Lao-tse, costituisce l’illusione fondamentale dell’intero buddismo, uno stato di sonno, di morte, di follia socialmente accettata, uno stato intrauterino nel quale si muore e dal quale si deve nascere..   Chi passa attraverso la perdita dell’io, le esperienze trascendentali, puo esserne o meno turbato, ed in modi diversi, sicchè sarebbe anche legittimo considerarlo pazzo; ma essere pazzi non significa necessariamente essere malati, benchè queste due categorie nella nostra civiltà si siano andate confondendo tra loro.

Ciò che più di ogni altra cosa  contraddistingue il nostro tempo è l’energia impiegata nel controllo del mondo esterno, accompagnata da un’oblio pressochè totale di quello interiore. Se si misura l’evoluzione umana in base alla conoscenza del mondo esterno, allora sotto molti aspetti stiamo facendo progressi; se invece il nostro giudizio si muove dal punto di vista del mondo interiore, le cose vanno molto diversamente.   In senso fenomenologico termini come “interno” ed “esterno” hanno poca giustificazione; ma sotto questo dominio, ci si deve ridurre a far uso di meri espedienti verbali: le parole sono soltanto un dito che mostrano la luna. Una delle difficoltà che si incontrano al giorno d’oggi a parlare di questi argomenti è che ormai viene messa in discussione persino l’esistenza di realtà interiori.   Per “interiorità” intendo il nostro modo di vedere il mondo esterno e tutte quelle realtà che non hanno nessuna presenza “esterna”, “obiettiva” : immaginazione, sogni, fantasticherie, trance, la realtà degli stati contemplativi e meditativi, realtà delle quali l’uomo moderno, nella stragrande maggioranza dei casi, non ha la minima conoscenza diretta.   Per esempio in nessun punto della Bibbia vi è alcun tentativo di provare l’esistenza di dei, demoni o angeli. La gente non incominciò con il “credere in” Dio: fece esperienza della sua Presenza.

Oggi non si discute pubblicamente se sia opportuno o meno affidarsi a Dio, o la posizione dei diversi esseri soprannaturali nella scala gerarchica dello spirito, ma addirittura se Dio e questi esseri spirituali esistano o siano mai esistiti.   A quanto pare oggi la sanità consiste in massima parte nella capacità di adattarsi al mondo esterno, quello interpersonale, al dominio delle collettività umane.   Dato che questo mondo umano esteriore è quasi tutto completamente estraniato da quello interiore, ogni diretta presa di coscienza individuale del mondo interiore comporta già in sé dei gravi rischi.   Ma poichè la società, senza essene a conoscenza, è assetata dall’interiore, la richiesta di evocarne la presenza in modi non pericolosi, che non debbano essere presi troppo sul serio, è enorme, ed egualmente forte è l’ambivalenza dei sentimenti verso di esso.   C’è poco da stupirsi se l’elenco degli artisti che, per parlare degl’ultimi centocinquant’anni, hanno fatto naufragio su questi scogli, è tanto lungo: Holderlin, John Clare, Rimbaud, Van Gogh, Nietzsche, Antonin Artaud…

Ci si aspetta che noi, dopo aver perduto l’esperienza spirituale, si abbia fede, ma questa fede si riduce al credere ad una realtà che non è evidente. Nel libro di Amos si profetizza di un tempo in cui vi sarà fame in terra, “non una fame di cibo, non una sete d’acqua, ma di udire le parole del Signore: quel tempo incomincia ora, è l’età nostra.   Dal punto di partenza alienato della nostra pseudo-sanità, ogni cosa è equivoca : la nostra sanità non è una sanità “vera”, , la loro pazzia non è “vera” pazzia. La pazzia dei nostri pazienti è un risultato artificiale della distruzione operata di noi contro di loro, e da loro contro se stessi: nessuno crede che si possa incontrare la “vera” pazzia più di quanto si possa credere a una nostra autentica sanità. La pazzia che riscontriamo nei “pazienti” è un volgare travestimento, una parodia, una grottesca caricatura di ciò che potrebbe essere la guarigione naturale di quell’alienata integrazione che chiamiamo sanità. La vera sanità comporta in un modo o nell’altro la dissoluzione dell’io normale, di quel falso io abilmente adattatosi alla nostra alienata realtà sociale: l’insorgere come mediatore degli archetipi “interiori” della potenza divina, e attraverso questa morte una rinascita, e l’eventuale ristabilirsi di un nuovo tipo di funzione dell’io, di un io che non tradisca più il divino, ma lo serva.

Ronald Laing

Sintesi del sesto capitolo de “La politica dell’esperienza”     Feltrinelli 1968

Esperienza trascendentaleultima modifica: 2010-06-07T17:40:35+02:00da allan11
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