Il pazzo

Parliamo dell'”atto che vede”, dell’intelligenza, o della “salute mentale”.
Il pazzo è colui che crede in se stesso («Oggigiorno ognuno crede
esattamente in quella parte dell’uomo in cui dovrebbe non credere: se
stesso, e dubita esattamente di quella parte di cui non dovrebbe dubitare:
la ragione divina»); è il fissato, monomaniaco fino alla monotonia («Il
pazzo. è preso dalla nitida e ben illuminata prigione di un’idea: è teso
verso un punto solo, fino all’esasperazione»); è logico in modo esasperato
perché cerca di ridurre la complessità dell’universo e dell’esistenza a un
ordinamento semplificatore che sia alla sua misura («Il logico pre-tende di
rinchiudere il cielo nella sua testa», «La coerenza del suo spirito è quello
che lo rende stupido e pazzo allo stesso tempo»). Non è il poeta a essere
lunatico, come facilmente si è portati a credere, ma il ragionatore: «Il
pazzo non è l’uomo che ha perduto la ragione, ma l’uomo che ha perduto tutto
fuor che la ragione». Il pazzo è colui che «come il determinista, vede in
ogni cosa un eccesso di causa». «Se si potesse parlare di azioni umane senza
causa, esse sarebbero semmai certe piccole azioni che un uomo sano compie
senza annettervi importanza: fischiettare camminando, colpire l’erba col
bastone, darsi pedate sui garretti, o fregarsi le mani. È l’uomo felice che
fa cose inutili, l’uomo malato non ha la forza di abbandonarsi all’ozio.
Queste azioni fatte negligentemente e senza scopo sono proprio di quelle che
il pazzo non potrebbe mai capire». Il pazzo ha sempre coerenza e lucidità,
ma è chiuso in un mondo piccolo: «La sua mente si muove in un cerchio
perfetto ma ristretto. Un cerchio piccolo è infinito, come un cerchio
grande, ma pur essendo ugualmente infinito non è ugualmente grande. Allo
stesso modo una spiegazione assurda è completa come una spiegazione giusta,
ma non abbraccia un campo altrettanto vasto. Una pallottola è tonda come il
mondo, ma non è il mondo». Il primo problema dell’uomo contemporaneo non è
che non sa risolvere l’enigma del mondo, è che non vede l’enigma. Lo
censura, lo imprigiona dentro le sue idee, le sue fissazioni, le sue voglie
confondendole con il desiderio, cerca di chiudere il mondo nella sua testa
«e la testa gli scoppia». E gli scoppia, paradossalmente, non perché non
regge la novità, non perché vi continui a entrare troppa realtà, troppe cose
nuove da fuori, ma perché dal di dentro premono contro le sue pareti idee
sempre più assurde.
Basterebbe aprire gli occhi. Tutta la differenza tra il cristianesimo e un
generico buddismo, nel quale (in quanto filosofia interiore) Chesterton vede
la sintesi dell’atteggiamento mentale dell’uomo contemporaneo ripiegato su
di sé, è rivelata dalle rispettive statue: «Il santo buddista tiene sempre
gli occhi chiusi e il santo cristiano li tiene ben spalancati. il buddista
guarda con particolare attenzione dentro se stesso; il cristiano è rimasto a
guardar fuori con intensità tragica».

Estratto da “L’epoca più immorale che ci sia”
Gilbert Keith Chesterton

http://www.tempi.it/cultura/004015-l-epoca-pi-immorale-che-si-sia-conosciuta

Il pazzoultima modifica: 2010-06-05T02:19:17+02:00da allan11
Reposta per primo quest’articolo